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<i>OMAGGIO!</i>
Lo scrittore Mario Biondi
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OMAGGIO!

I RACCONTI DELLO SCRITTORE
MARIO BIONDI

©
Divieto di riproduzione integrale
e obbligo di citazione (per cortesia...)

“CZZ…” E “VAFF…”

(New Journalism - 1996)




Una quindicina di anni fa. Animatissima assemblea dei dipendenti di una casa editrice in gravi difficoltà. Erano in ballo molti posti di lavoro. Toni concitati, preoccupazione palpabile. Durante un parossismo di agitazione chiese improvvisamente la parola con un gesto nervoso una segretaria non più giovanissima. Una delle persone più a rischio, data l’età e anche — vergognoso dirlo, ma le cose vanno così — il sesso. L’assemblea si ammutolì, incuriosita. La gentilissima signora era nota per parlare pochissimo e sempre in toni sommessi, in punta di forchetta, con una scelta accurata dei vocaboli. Si accinsero tutti ad ascoltarla distrattamente, già pensando al prosieguo del dibattito. La signora si alzò addirittura in piedi, divenne cerea e poi paonazza, le si formò un visibilissimo nodo sulla lingua, la gola le palpitò come quella di una tacchinella in gravi angustie. Nel silenzio fattosi sepolcrale, riuscì finalmente ad aprire la bocca ed esplose una sola parola, nemmeno completa. Un poderoso, perentorio, sibilante «czzz…». Nient’altro.

L’assemblea rimase attonita, qualcuno non ce la fece a trattenere un risolino imbarazzato. Ma un segnale era stato lanciato: eravamo avviati verso la Grande Trasformazione del Costume. Poco più tardi, tornato ciascuno al suo deschetto di lavoro, un redattore particolarmente colto e libresco citò un libro di racconti di grande successo negli Stati Uniti e non ancora tradotto in italiano. Un personaggio, una signora di buona famiglia, non più giovanissima e amareggiata, vi dichiarava: «Noi donne abbiamo lottato tanto, ma per adesso mi pare che abbiamo conquistato soltanto la libertà di dire “czzz…” senza che nessuno si scandalizzi». Be’, di fronte al paonazzo “czzz…” della brava segretaria milanese di mezza età, l’assemblea non si era scandalizzata, però era rimasta parecchio interdetta. Si era sentita improvvisamente, ineluttabilmente messa a confronto con il Nuovo che Avanza: quello che Avanzava allora, quindici anni fa. Adesso è avanzato di un bel po’.

Apri la televisione mentre stai mangiando un’icastica e non ingrassante mozzarella, ed ecco che dallo schermo ti piomba addosso una signora tutta garrula che annuncia: «Io è una vita che scopo benissimo». La mozzarella ti si blocca nella strozza. Come: una vita? Con le note difficoltà di identificazione e — diciamo così — “esposizione” di cui si dice stia soffrendo il maschio italico? Che diavolo di amante le sarà capitato, quale redivivo Casanova, quale Richard Gere uscito dallo schermo e dalla meditazione buddista proprio per lei? Chi sarà mai questo suo eccezionale — sia consentito dirlo — manico? La mozzarella riprende tranquilla il suo corso verso le zone più segrete del corpo allorché la signora, sempre più garrula, questo “manico” te lo mostra strizzando l’occhio: è quello di una modernissima e, a quanto pare, insostituibile scopa. Meno male. Il maschio preoccupato e ferito nell’amor proprio si rasserena.

Cambia canale, ed ecco che si trova immediatamente in balia del prete-anchorman da sbarco, il cui linguaggio non farebbe sfigurare un camionista e starebbe sicuramente meglio sulle labbra degli ormai ultratrentenni “ragazzi” del suo oratorio piuttosto che su quelle di un pastore non già di manici di scopa ma di anime. I “czzz…” non vengono lesinati, nel sacrosanto rispetto del linguaggio comune e corrente. Saranno compresi nel canone? Chissà. Cambia ancora canale, ed ecco che gli viene ammannita una rassicurante partita di football. La saga dei “czzz…” sarà finita? Macché. Ormai le telecamere arrivano dappertutto, fra un po’ te ne troverai una anche sotto il letto e di fianco al bidet, nell’inviolabile nome della libertà di informazione. E, in tale nome, la telecamera fruga invadentissima le labbra dei baldi giovanotti in mutande. Quando uno di essi viene messo fuori campo dall’allenatore — che sarà anche scemo, ma insomma ha sempre uno schema di gioco e una professionalità da difendere —, l’obiettivo va in estasi: arriva praticamente fino al velopendulo del giocatore estromesso per farti vedere con inequivocabile certezza che le sue labbra stanno formulando un poderoso «vaff…». Rivolto all’allenatore, al mondo, all’universo, alla dura sorte. E giù tutti a ridacchiare come matti, a imbastire solenni dibattiti sulla destinazione e sul senso del “vaff…”, come se fosse l’ultimissima volontà di Einstein colta direttamente dalle sue labbra.

E la mente dell’estensore di questa nota torna di nuovo indietro di una quindicina di anni, forse qualcuno di più, ma non molti. Nella casa editrice di libri in cui lavorava arrivò la traduzione di un ennesimo romanzo americano (quanti ne scriveranno, ogni anno, mentre qui da noi si continua a constatare la “morte del romanzo”? ma è un altro discorso, non c’entra); insomma, arrivò questa traduzione in cui un ragazzotto italo americano, più o meno del Bronx, sembrava non poter fare a meno, ogni due o tre righe, di esplodere degli irrefrenabili «Fungule! Fungule!» Enigmatica espressione che il traduttore aveva lasciato tale e quale almeno un centinaio di volte. Era un bravo traduttore, molto esperto, un autentico gentiluomo di mezza età.

Convocato in casa editrice per l’ultima revisione delle bozze, gli si fece delicatamente notare che forse non aveva capito il senso dell’espressione, che bastava pronunciare la parola con accento americano e “fung…” si convertiva come per incanto in un chiarissimo “fanc…”, perfettamente comprensibile da qualsiasi lettore italiano. Imperturbabile, il distinto gentiluomo replicò che aveva capito benissimo, ma che non se la sentiva di inserire un’espressione simile in una sua traduzione, che temeva di colpire la suscettibilità di qualche lettore: insomma, che l’educazione gli impediva di usare in qualsiasi forma e luogo le espressioni “fanc…” o “vaff…”. Gli fu replicato che l’autore faceva usare proprio quella parola al suo ragazzotto italo-americano ammalato di febbre del sabato sera, e che quindi bisognava farla capire al lettore italiano. Piuttosto che usare sotto suo nome l’imbarazzante formula, preferì non firmare la traduzione e la affidò a uno pseudonimo. Che tempi. Quel Nuovo non aveva ancora cominciato ad avanzare, almeno per lui. Ma anche per tanti altri.

Be’, per quanto concerne “czz…” e “vaff…” non si può di sicuro dire che da allora si sia fatta poca strada verso la “Liberazione”. In altri ambiti più seri e concreti, tipo autentiche “pari opportunità” e simili, resta ancora tutto da vedere. Libertà assoluta, certo, di parcheggiare l’auto su ogni passo carraio di qualsiasi ospedale, di correre a perdifiato in bicicletta (e contromano) sul marciapiede, del tutto insensibili al concetto che appunto “marciapiede” si chiama e non “marciabici” e ancora meno “marciamotorino”. Ma tant’è. In base al motto che l’erba del vicino è sempre più verde si pretenderebbe di spacciare l’idea che anche la cacca del cane del vicino è più… più che cosa? Non sarà una semplice questione di Educazione? E non sarà che, così facendo, la normale convivenza quotidiana diventa sempre più aleatoria, complicata, scomoda, rissosa? E giù discussioni, contestazioni, liti, con grave nocumento del fegato e persino dell’atmosfera in cui si vive. Non sarà il caso di riscoprire il rassicurante senso della civiltà? Non potremo mettere per un attimo da parte l’Ansia da Trasgressione che sembra avere preso persino i pulpiti?

Come andrà a finire? Saremo davvero costretti, in un domani che appare sempre più vicino, a invischiarci in marcescenti città alla Blade Runner, nella Gotham City di Batman? Chissà. Attenti, perché non c’è sempre a disposizione un diabolico Danny De Vito pronto a trasformarsi in un esilarante Pinguino. Insomma, sarà obbligatorio che continuiamo a pestarci i piedi senza un minimo rispetto di Educazione e Virtù? Vecchie parole che ormai sembrano soltanto suscitare sorrisi di compatimento, mentre potrebbero e dovrebbero essere di sollievo…


© Mario Biondi

Per Madame Figaro, giugno 1996
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